Gioco dei sassolini

AMARCORD... ''Il gioco dei sassolini''

Un contributo di Roberta

Mercoledì, 26 Maggio 2021

Sono stata molto fortunata perché tutti i mesi estivi della mia infanzia, dopo la fine dell'anno scolastico, li trascorrevo nella seconda casa dei mie genitori in collina insieme a mia nonna, ai miei cugini e a tanti bambini del luogo. Tutti insieme correvamo a piedi nudi sull'erba, nuotavamo nel fiume Reno e con la fantasia immaginavamo di essere instancabili esploratori di un'Isola del Tesoro infestata da pirati, oppure facevamo fischiare i fili d'erba in concerti stonati. Questo mi ha fatto molto riflettere di come i bambini e i ragazzi, in questo ultimo anno, siano stati fortemente colpiti da questa gravissima pandemia del covid19, perché sebbene non fossero una categoria particolarmente a rischio dal lato epidemiologico, il confinamento in casa e il non potere giocare insieme ai loro amici, gli ha privati di un bene immenso, che è la ''condivisione del gioco'' e speriamo di non doverne subire le conseguenze in futuro.

A tal proposito, nei miei ricordi, ho ben chiaro un gioco, che anche la mia mamma da piccolina faceva e che proprio lei mi ha insegnato.

Si gioca a turno, con una sola mano, in due o più persone. Il giocatore di turno deve prendere un sasso, lanciarlo in alto, raccoglierne rapidamente uno di quelli a terra e riprendere al volo il sasso lanciato prima che ricada al suolo. Così di seguito fino a che il giocatore ha raccolto e tiene in mano tutti i sassolini. Vince chi è riuscito a tenere in una sola mano più sassolini di tutti. E' un gioco molto semplice che si può fare in qualsiasi luogo dove si possa trovare dei piccoli sassi, come per esempio, un sentiero di ghiaia. 

Ci sono molti giochi che potremmo insegnare ai nostri figli o nipoti, ma la cosa più importante, secondo me, è infondergli il piacere del contatto con la natura, che sia ruzzolare giù per una collina d'erba, arrampicarsi su un albero, saper riconoscere le piante del giardino o coltivare un piccolo orto, solo coì riusciremo a trasmettere alle nuove generazioni l'amore per il nostro preziosissimo pianeta.

E voi, ricordate un gioco che facevate da bambini?

Sarebbe carino scambiarci spunti di gioco, per poter coltivare sempre il bambino che è in noi! 

    

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Il gioco dei sassolini

Per le persone della mia età è stato un gioco che ha accompagnato l'infanzia. Nella Bolognina, il quartiere dove abitavo, il gioco si chiamava “Anelina”e dico questo perché certi nomi dati dal popolo come anche certe parole dialettali cambiavano facilmente da posto a posto. Questo me lo ha insegnato la nonna Rinaldi, una bolognese doc, che sosteneva che quelli della Cirenaica “i ciàchera mél”

Come i giochi della infanzia aveva una sua ragione d'essere e, in questo caso, era una ottima coordinazione oculo/motoria. Una successione di esercizi che aumentavano le difficoltà fino al arrivare alle “Buffole che non si superavano facilmente. Consistevano nel lanciare in alto un sassolino, afferrare i sassolini per terra, in progressione, prima uno, poi due, poi tre... e riprendere il sassolino in discesa tenendo il dorso della mano rivolto al cielo: un movimento che sembrava la zampata di un felino.

Tempo fa portarono nel giardino del Centro Stella della ghiaia e mi fermai a raccogliere cinque sassolini: anche sceglierli richiedeva attenzione poi volli provare quel gioco che tante volte avevo fatto. Ero così sicura di eseguirlo facilmente che rimasi veramente delusa: il sassolino, lanciato in aria più volte, cadde miseramente sul tavolo ancora prima che io fossi riuscita ad afferrarne uno di quelli in attesa.

Era un primo campanello d'allarme che io ho sottovalutato.

M.F.

 

 

 

 

Questo è un gioco universale, lo si ritrova, credo, in tutta Italia. In Sicilia è detto il gioco delle 5 pietre, me lo insegnò mia madre quando avevo 5 o 6 anni in una calda estate.

Alessandro

Giochi di una volta: La Campana

LUNA io mi ricordo questo bellissimo gioco da fare in cortile o sui marciapiedi

29 Maggio 2021

Grazie Krista per aver ricordato il gioco della Luna, un gioco antichissimo e conosciuto in tutto il mondo e che ancora resiste. Magari la Luna era disegnata in modo diverso, forse aveva anche un nome diverso ma io l'ho vista giocare  in una strada in Marocco, Taif mi ha assicurato che anche in Bangladech si gioca e nella piazzetta davanti alle scuole Marconi vedo ancora qualche bambina che la disegna.

La Luna che io giocavo nel cortile di via Mitelli sotto a due enormi tigli che in primavera spandevano intorno un intenso profumo era un rettangolo inciso con un rigido bacchetto sulla terra battuta diviso il otto quadrati e numerati in modo inusuale. Il numero uno era in basso e a destra, il due sopra all'uno così il tre sopra al due fino ad arrivare al numero otto in basso e alla sinistra del numero uno. Questa scelta aveva lo scopo di esercitare la mano al tiro della pietruzza nei riquadri: dal tiro più facile al più difficile. Dopo aver tirato la piatruzza  nel riquadro occorreva andarla a raccattare camminando sempre a zoppo galletto senza pestare le righe. Solo nella casella numero cinque ci si poteva riposare e appoggiare il piede a terra. Terminato il primo giro ne seguivano molti altri con difficoltà sempre crescenti, spesso inventate anche da noi bambini. Ne ricordo diversi , ma due in particolare: fare tutto il percorso con la pietruzza sulla scarpa senza mai farla cadere e l'altro farlo con gli occhi bendati. Era il più entusiasmante perchè, ad ogni passo, chi era in gara domandava: “Am?” che era seguito da un: “Salam” pronunciato da tutti i partecipanti alla gara, quando nessuna riga era pestata o da un urlato “Salamon” che significava che un errore era stato commesso ed entrava in gioco il successivo partecipante.

Questo è il gioco della Luna che, grazie a Krista,  ho piacevolmente rivisitato.

Mariella Fenzi

Giocavamo a zacâgn

Era un gioco prettamente maschile ma io lo preferivo ad altri giochi sdolcinati come “Dame e cavalieri”. Di solito si giocava in tre massimo quattro e il mio essere una femmina non ha mai creato problemi. Occorreva procurarsi un pezzo di mattone rosso che fosse in grado di stare bene in piedi, ma con le macerie lasciate dalla guerra non era difficile reperirne uno: lo zacâgn appunto. La posta in gioco erano due figurine che ogni giocatore doveva mettere in palio e venivano poste sotto allo zacâgn. Poi, a sei passi, si tirava una riga per terra e quello era il limite invalicabile quando si effettuava l'unico tiro che ogni giocatore aveva a disposizione per abbattere lo zacâgn, ma data la distanza non era semplice.

Fatto questo si sorteggiava la successione dei giocatori che si sarebbero cimentati nell'impresa. Avere una buona mira e tirare per primo, il sasso scelto con tanta cura, aveva i suoi vantaggi , ma non sempre perché a volte, colpito il bersaglio, le figurine si sparpagliavano e allora anche il secondo o il terzo tiro potevano dare buoni risultati. Infatti le figurine messe in palio andavano al proprietario del sasso che andava a loro più vicino. Quante discussioni e liti per stabilire quale fosse il più vicino alle ambite  figurine! Spesso si finiva con il litigare  qualche scappellotto veniva  fatto volare, ma poi si faceva pace e si cominciava una nuova partita.

Noi giocavamo a Uno, due e tre per le vie di Roma. Di Mariella Fenzi

Così si chiamava il gioco che io facevo in giardino con tanti altri bambini. La conta stabiliva chi iniziava a comandare il gioco appoggiando la testa sul muro del palazzo e le sue decisioni dovevano essere accettate senza discussioni. Tutti gli altri si affiancavano sulla riga tracciata davanti alla siepe che delimitava il cortile. “Uno due e tre per le vie di Roma” gridava velocemente chi dirigeva il gioco e poi si voltava. Alla parola Roma ci si doveva fermare e restare immobili come statue spesso assumendo pose stranissime. Chi veniva colto in movimento veniva rispedito alla partenza. Vinceva la gara chi, per primo, arrivava a toccare la spalla di chi stava dicendo “ Uno due e tre....” e il gioco iniziava di nuovo con un nuovo comandante.

Con questo gioco abbiamo appreso che esistono le ingiustizie e le preferenze e, a volta nostra, le abbiamo messe in pratica facendo vincere chi non lo meritava e mandando in dietro anche chi aveva osservato le regole, ma ci era antipatico.

A distanza di anni credo che questo gioco, con altre denominazioni, sia stato fatto in tutta Italia lasciando, ingigantiti, i suoi riprovevoli insegnamenti.

Insieme a Luna, l'ELASTICO è stato il gioco sempre presente nei pomeriggi caldi della mia infanzia.

Sfide interminabili all'ultimo salto nel cortile della scuola o in quello di casa. Che bello! Come ci divertivamo a saltare!

Era come imparare una danza sempre più difficile e sempre più entusiasmante.

La nonna Domitilla confezionava "elastici" per me e le mie cuginette: acquistava il materiale nella unica merceria della piazza, prendeva le misure e cuciva i due lembi "a modo". Tra una faccenda e un'altra di casa, ogni tanto sbirciava dalla finestra per controllare le "cinne" mentre giocavano. E ogni volta che si rompeva l'elastico era subito pronta a risistemarlo "Ven mò que cenna!". E via! Si ritornava a giocare....

<tre bambini che giocano con un elastico alle caviglie

Noi giocavamo ai Quattro cantoni

Non era detto che i cantoni fossero solo quattro, nel grande cortile ce ne stavano tanti, comunque uno in meno dei bambini che si trovavano per giocarci. Per terra si segnavano le case distanziandole e formando un cerchio. Al centro il bambino che la conta aveva stabilito che fosse senza casa e doveva trovarla mentre i compagni la scambiavano tra di loro. Non era tanto semplice ma aveva un'arma a disposizione, quando gridava “Burrasca” ogni bambino era obbligato a lasciare vuota la propria casa e cercarne una che non fosse tra le due che aveva a fianco. Chi per tre volte rimaneva senza casa incorreva  nella penitenza e allora doveva scegliere tra : Dire-Fare- Baciare-Lettera-Testamento. Di solito le prime due penitenze venivano depennate perché era molto più divertente assistere ad una delle altre tre.

9 Giugno 2021

Grazie Sabrina per avermi ricordato il gioco degli elastici. Io non sono riuscita a farlo, ormai ero fuori tempo massimo! In compenso ci ha giocato molto mia figlia sia in casa che nel giardino. Invece io ho giocato al suo predecessore ovvero “alla corda” che giravo da sola o anche con  due amiche che la facevano girare insieme scandendo il ritmo contando. Il difficile era entrare ed uscire senza interrompere il giro della corda.

Mariella Fenzi

Anonimo

Noi che giocavamo...

Ruba bandiera era un gioco di squadra ma, nello stesso tempo, individuale. Ogni singolo partecipante doveva cimentarsi e gareggiare con il suo diretto contendente  cercando di portare nella propria casa la bandiera posta al centro  o acchiappare l'avversario prima che fosse lui a portarla nella sua. Fu durante questo gioco che incontrai chi sarebbe diventato mio marito. Era un bambino nuovo che veniva da Firenze e me lo trovai come diretto avversario. Quando fu chiamato il nostro numero lui si precipitò nel centro del campo  e si impossessò della bandiera, ma io fui pronta a rincorrerlo e nella foga del gioco gli acchiappai la manica della camicia e gliela strappai portando alla mia squadra un prezioso punto.

Avevamo dodici e tredici anni, calzettini e calzoni corti: eravamo proprio due cinni e ci divertivamo così.