Le tue abitudini

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Corretti stili di vita
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abitùdine s. f. [dal lat. habitudo -dĭnis, der. di habĭtus -us «abito»]. Anticamente significava disposizione, costituzione, struttura naturale. Oggi usiamo questo termine per definire una tendenza a ripetere determinate azioni ed esperienze, acquisita generalmente attraverso la ripetizione frequente di queste azioni o esperienze. Un’abitudine si ha, si prende, si impara, si perde, si ROMPE.

Un’abitudine può essere vecchia, nuova, buona, cattiva. Può esserci l’abitudine di fare qualcosa (mangiare o svegliarsi o altro sempre alla stessa ora, leggere il giornale al bar, assumere un farmaco (qui si parla anche di vizio, di assuefazione, di dipendenza) ma anche di percepire qualcosa, di sentire un suono (i treni che passano, il rumore del mare), oppure di pensare a qualcosa. L’insieme delle nostre abitudini ci fa quello che siamo (o quello che sembriamo?).

Le nostre abitudini dipendono dalla nostra personalità, dal nostro carattere, da quello che ci è successo nella vita e da come abbiamo reagito (e viceversa). Le nostre abitudini siamo noi. Se cambiamo abitudini non cambiamo solo l’abito ma qualcosa di più profondo. Qualcosa che abita dentro di noi.

Le abitudini vanno cambiate? Beh, questo lo decidi tu. Potremmo dire facilmente che una cattiva abitudine andrebbe cambiata e una buona abitudine andrebbe mantenuta, ma il discorso non è così semplice.

Perché è così difficile cambiare le tue abitudini? Perché il tuo cervello (e quello di tutti, più o meno) cerca di essere efficiente, segue principi “economici”. Non vuole solo raggiungere l’obiettivo (efficace) ma vuole raggiungerlo con il minor sforzo possibile (efficiente). Vuole risparmiare energia, non vuole arrivare ad essere sovraffaticato. È una parte del nostro “istinto” ed è molto vantaggiosa per certe cose, non per altre. Un cervello efficiente ci permette di non dover pensare costantemente a come attuare tanti comportamenti (per esempio il camminare), in modo da poter dedicare le nostre energie ad altre attività più o meno importanti per sopravvivenza. Affrontare esperienze mai provate, conoscere persone estranee, sperimentare modalità mai usate, cambiare alimentazione o itinerario, fare qualcosa di mai fatto: tutto ciò richiede alla mente un grande sforzo. Questo sforzo non è invece richiesto se svolgiamo un’azione che conosciamo bene, che abbiamo reso quasi automatica, consueta, per la quale abbiamo una procedura (anche a nostra insaputa). Se lasciassimo fare al nostro cervello, trasformerebbe qualsiasi cosa in routine, in abitudine, in procedura, in automatismo. E questo, per certi versi, è molto utile (guidare l’auto, andare in bicicletta), per altri può essere deleterio. Non tutte le nostre abitudini ci portano a un maggiore benessere. Meglio conoscere la loro struttura, come sono fatte, per comprenderle ed eventualmente modificarle. In studi abbastanza recenti, il processo con cui si forma un’abitudine è stato descritto come un cerchio, un ciclo, un loop a tre fasi: segnale, routine, gratificazione. Un segnale avvia una routine, questa produce una gratificazione che porta a un altro segnale e così via. Il segnale arriva al nostro cervello come conseguenza di una nostra condizione interna (un’emozione, un pensiero) o esterna (proveniente dall’ambiente o da un’altra persona). Questo ci spinge ad avere una gratificazione (un premio: il benessere, il piacere) che possiamo ottenere solo attraverso una routine, una nostra azione, un nostro comportamento o anche un pensiero, un’emozione. Il premio, la gratificazione, la ricompensa, cioè il benessere ottenuto grazie allo svolgersi della routine, ci dà un rinforzo, una conferma che quella azione è necessaria e che quindi va ripetuta. Un esempio: sei in un ritrovo con altre persone e ti annoi (segnale); quindi esci a fumare una sigaretta o vai a mangiare uno stuzzichino (routine); la nicotina o lo zucchero ti “premiano”, ti ricompensano, rompendo la noia ti fanno stare meglio (gratificazione); questo ritrovato benessere durerà poco, e quando sentirai un altro segnale di noia andrai a fumare un’altra sigaretta o a mangiare un altro stuzzichino, e così via. Questo è il loop, il ciclo dell’abitudine (potremmo anche chiamarlo circolo “vizioso” o “dipendenza”. L’abitudine diventa automatica, la routine ci fa compiere meno fatica per stare meglio nell’immediato ma spesso ci farà stare peggio a lungo termine o non bene quanto potremmo. Questo circolo, però, può diventare “virtuoso”: se il segnale è lo stesso (noia) e quello che voglio ottenere è sempre il benessere (gratificazione), ciò che dovrò cambiare è la routine. Dovrò cercare un’altra routine che mi produca la stessa gratificazione e sostituirla a quella deleteria. Facile a dirsi, dirai, e anche un po' banale. Vero. Riuscirci non è facile, ci vuole intenzione, volontà, motivazione, talvolta il sostegno di qualcuno. Ma bisogna prima di tutto comprendere, diventare consapevoli, coscienti di questo meccanismo, osservare l’automatismo. Poi provare, fallire, provare di nuovo. Sperimentare.

Il “lavoro” da fare “su di sé” è sempre quello, a livello corporeo, psicologico e sociale: consapevolezza sui propri bisogni fisici e mentali, sulla propria postura e sui propri comportamenti, sul proprio modo di essere e muoversi nella realtà, sul proprio modo di relazionarsi con gli altri. Rendere consapevoli le azioni che svolgiamo in modalità automatica (o inconscia, se preferisci). Portare alla luce ciò che è in ombra, anche se può essere doloroso e faticoso. E, naturalmente e banalmente, cominciare dalle abitudini basiche, che potrebbero essere: - Dormire quanto si può e si vuole. - Respirare consapevolmente quando “viene in mente”. - Fare esercizio fisico e riposarsi regolarmente. Camminare e sdraiarsi, camminare e sdraiarsi... stare il meno possibile seduti o fermi in piedi. - Bere e mangiare, bene e poco, a orari regolari, magari più la mattina e meno la sera. - Concentrarsi regolarmente su qualcosa: lettura, musica, cucina, qualsiasi cosa ma con grande attenzione. Poi riposarsi, lasciare vagare la mente dove va. poi riprendere l’attenzione e concentrarsi, e così via. - Scrivere, annotare, segnare pensieri, ricordi, sensazioni. Dici: non mi ricordo di fare tutte queste cose durante il giorno. Bene, metti tanti promemoria scritti sullo specchio del bagno (segnali), scrivili sul cellulare e attiva le notifiche sonore a orari prestabiliti (altri segnali). Fallo per un po', magari ci vorranno due o tre settimane (c'è chi parla di 21 giorni, ma non c'è nessuna evidenza scientifica). Poi anche tutte queste abitudini potrebbero diventare automatiche. Questi segnali potrebbero produrre nuove routine, queste routine potrebbero portarti a una maggiore gratificazione. Questo nuovo benessere potrebbe produrre nuovi segnali, che produrranno nuove routine, e così via.

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26 Maggio 2021

Non me ne rendevo conto , ma avevo tantissime abitudini. O meglio un modo di vivere scandito da tante attività che mi divertiva fare e che mi riempivano piacevolmente tante ore. Poi la vecchiaia ha preso il sopravvento e in breve tempo tutto è cambiato. Basta poco perché ciò che è stato sempre semplice da fare diventi una fatica e se poi questa non bastasse e occorresse chiedere aiuto, magari lungo la strada ad un estraneo...beh è un brutto colpo da incassare e da ammortizzare. Il tanto consigliato “cerca di guardare chi sta peggio di te “ non è una grande risorsa e allora occorre attivare nuove abitudini e se non si ottiene subito il massimo qualcosa di positivo si deve sempre trovare. E così ho gioito quando sono riuscita a farmi una spremuta di arance, quando ho sfilato la maglietta cercando manovre astruse, quando ho fatto la prima doccia...e il tutto da sola. Queste sono ora le mie piccole conquiste. Però non ci si abitua a sopportare il dolore fisico, ma sto imparando che si può alleviare impegnandosi in attività che obblighino la mente in altri ambiti, magari scrivendo pensieri confusi come ora.

Una nonna.