Il verde pubblico è importante.

Parchi e giardini di Bologna

Un contributo di Marcello Camilli - Gruppo ForteMente

Venerdì, 8 Aprile 2022

Parchi e spazi verdi di Bologna

La presenza di aree verdi nelle città è cruciale per la qualità della vita. Non solo perché parchi e giardini offrono occasioni di socialità, di pratica di sport all’aperto, di gioco per i più piccoli, ma anche perché garantiscono un importante servizio ecologico.

Il verde pubblico del territorio comunale di Bologna si compone di oltre 750 aree, che si estendono per una superficie complessiva di più di 1.000 ettari.

Io, come tanti altri, non potrei vivere in una città dove non esistono parchi, giardini, spazi verdi.

Bologna è considerata la “città giardino“. In pieno centro storico, nei cortili delle case, si nascondono 50 spazi verdi.

I parchi e giardini di Bologna: “La Lunetta Gamberini”

E' il mio parco, si trova poco distante da casa mia; i suoi comodi vialetti interni mi consentono di fare delle belle passeggiate, specie durante le belle giornate di sole.

E' il luogo dove ha sede il Centro sociale ora denominato “Casa di Quartiere” e dove io e la mia collega Mara svolgiamo l'attività di volontariato con il gruppo ForteMente.

 

Il giardino è stato progettato negli anni settanta da Paolo Bettini e si trova tra via degli Orti, via Dagnini e largo Lercaro. Ha una superficie di circa 14,5 ettari.

Al suo interno ospita impianti sportivi, quattro scuole, un centro sociale e un centro giovanile collocati in un lungo fabbricato su un lato del quale è inserita una fontana dello scultore bolognese Nicola Zamboni.

Il giardino deve il suo nome ad una tipologia di costruzione militare, la lunetta, che nella seconda metà dell’Ottocento faceva parte del campo trincerato fatto costruire a Bologna dal generale Manfredo Fanti in funzione antiaustriaca.

Tramontata l’importanza strategica e militare di Bologna alla fine dell’Ottocento, l’ingombrante linea difensiva composta da 9 forti e 17 lunette fu gradualmente smantellata, ma la Lunetta Gamberini (dal nome della vicina Cà Gamberini probabile residenza del proprietario del terreno) venne risparmiata e riconvertita a fabbrica di fulminato di mercurio.

L’area verde è frutto di una serie di acquisizioni degli anni settanta che hanno consentito di ampliare e trasformare in un grande parco pubblico quella che negli anni cinquanta era stata una distesa di campi coltivati e ruderi.

Vegetazione

La caratteristica principale del parco è quella di essere completamente circondata da una folta siepe mista (alberi di Giuda, forsizie, sanguninelli, scotani e molti altri arbusti ornamentali) che funziona da barriera contro il traffico e il rumore delle vie circostanti.

Gli ampi prati interni sono ombreggiati da filari di tigli, pioppi bianchi, platani e ippocastani.

Servizi

  • giochi per bambini per diverse fasce di età

  • pista per il pattinaggio

  • impianti sportivi (calcio, basket, pallavolo)

  • palestre

  • area sgambatura per cani (vicino a via degli orti)

    Parchi e spazi verdi di Bologna

     

     

Categoria
Storia della nostra città

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LETTERA DI UN ABETE

Cari Bolognesi,

non è per vantarmi, ma tutti nel quartiere Santo Stefano mi conoscono: sono l'abete più amato del bel parco “Lunetta Gamberini”. Certo che di anni ne ho parecchi, ho persino smesso di contarli, ma in realtà ne ho tanti quanti gli abeti che stanno nei pressi di via Pelizza da Volpedo. Loro sono alti e dritti, eleganti e alteri, inoppugnabili nella loro immobilità, ma solo io mi sono attribuito la nomea di Abete Saggio. Anzi, ad essere sincero, questo mio nome me lo ha affibbiato una anziana signora che spesso nascondeva, dietro al sorriso, problemi e preoccupazioni e siccome quel nome, dal sapore antico, mi è sempre piaciuto, col tempo, l'ho fatto mio. Un po' pendulo, sciancato e con un grosso ramo che si adagia a terra, come per sostenermi, attiro la curiosità e la simpatia di grandi e piccini. Certo non sono sempre stato così, in gioventù anch'io ero alto e dritto poi il vento della guerra mi ha un po' ingobbito e un fulmine mi ha stroncato la gloriosa cima. Ma resto sempre qui e dall'alto osservo lo svolgersi, sia nel bene che nel male, della vita. La mia mente non è più così vigile però riconosco tutti, perché proprio tutti passano sempre a salutarmi. Sono soprattutto le persone più vecchie, che si fermano a guardarmi e a sospirare; loro, assieme a me, si rivedono piccolini quando venivano a esplorare questo vasto territorio abbandonato e pieno di ruderi a ridosso della ferrovia. Un luogo, ai loro occhi di bambini, sterminato e impervio dove era bello gareggiare con la cerbottana e le frecce oppure con i 'patachini' di terra creta o meglio ancora di stucco. Quante foglie mi hanno fatto perdere quando la mira era sbagliata! Allora erano gli anni cinquanta e i ragazzini entravano da soli in quello che sarebbe diventato, dopo più di due decenni, un bellissimo parco e tornavano a casa al tramontar del sole. La guerra li aveva visti bambini ed ora assaporavano la serenità che libertà e pace avevano portato. I Franco, i Luigi e qualche Maria si cimentavano in giochi e battaglie, c'era anche un Benito che, ignaro, si portava cucito nella pelle il ricordo della terribile dittatura da poco terminata. I loro nomi riecheggiavano nell'aria e le loro grida di esultanza o di vittoria giungevano fino a me. Poi le cose sono cambiate, negli anni settanta ho seguito la costruzione delle scuole elementari Don Milani e le medie Pepoli e la trasformazione dell'incolto terreno in un parco. Ho visto piantare platani, pioppi dal bel fusto bianco, tigli e tanti altri alberi che si aggiungevano a quelli esistenti ed io sempre lì a gongolare perché si respirava l'aria della ripresa, del benessere e della democrazia. Benito, era diventato Benny, i Franco, i Luigi e le Maria si erano fatti grandi e proprio sotto al mio fogliame si fermavano a raccontarsi seduti sul vecchio ramo così vicino al terreno. Era bello vederli scambiarsi qualche bacio, ascoltare i loro sogni: una vita da passare insieme, magari in un appartamentino vicino al parco. Quanti anni sono passati veloci ! Anni per me scanditi dal ritorno di nuove primavere quando la siepe, dove forsizie, lagerstroemie e lillà si alternano cingendo in un largo abbraccio la Lunetta, diventa un tripudio di fiori, di profumi e di colori. Però non dimentico il passato e il pensiero corre a quei due terribili inverni con delle eccezionali nevicate.

Di questi avvenimenti ricordo ancora la data: il 29 febbraio 2004 e il primo febbraio del 2012. Imparai subito che l'ultima nevicata aveva fatto crollare due abeti qui vicino, nella piazzetta davanti alle scuole Marconi. Non so come abbiano fatto i miei rami a reggere, per giorni, quei fardelli bianchi di ghiaccio. Solo qualche rametto si è stroncato, ma io ho resistito e sono ancora qui a guardare crescere e diventare uomini i bambini che ho visto nascere.

Quest'anno, il 2020, lo voglio dimenticare. Un inverno tiepido e pieno di sole, seguito da una deliziosa primavera, ma per mesi mai nessuno mi è venuto a salutare. Nessun nonno a passeggiare nei vialetti, neppure la voce di un bambino né di mamme che chiamano le Mia, le Luna, gli Evan, i Christopher, ma perché questi nomi strambi e buffi! Qualcuno sicuramente dirà che sono vecchio e svampito. Pazienza, mica posso farmeli piacere per forza! Ho passato questi mesi in una Lunetta svuotata e silenziosa con solo il canto delle allodole e dei passerotti che a me pareva un pianto e neppure il profumo dei tigli in fiore, che giungeva fino a me, mi ha rasserenato. Mai mi sono sentito così inutile e solo, poi finalmente, nella torrida estate, qualcosa è cambiato. I cancelli del mio parco si sono ancora aperti e anziani, giovani e bambini sono tornati a passeggiare per i vialetti, a stendersi sui prati a prendere il sole o a sedersi sulle panchine a leggere il giornale. Sono tutti strani, hanno bocca e naso coperti e un'espressione triste negli occhi. Mi hanno detto che un virus ha portato malattia e morte. Però oggi, dopo una lunga assenza, è tornata a cercarmi la signora, ormai vecchia, quella che, un giorno lontano, mi ha dato il nome che con orgoglio porto. Aveva il volto coperto dalla mascherina, e neppure i suoi occhi sorridevano. Come è abbattuta e impaurita, sembra che abbia lasciato a casa la sua vecchia baldanza. Come vorrei consolarla, dirle che il peggio è passato, che anche il torrido caldo è finito e tra poco inizierà la stagione che le piace tanto perché piena di gialli cangianti, di rossi infuocati e di foglie che, cadendo, sembrano farfalle che danzano in cielo solo per lei. Temo proprio che oggi le veda come sono nella realtà: non più farfalle, ma foglie avvizzite, secche, morte sbattute dal vento su una terra arida perché priva di sentimenti e di umanità. Qualcuno mi dica che mi sto sbagliando!

Vi abbraccio tutti.

Abete Saggio della Lunetta Gamberini

 

Racconto di Mariella 

pubblicato sul libro dei giardini di Bologna