il dialetto bolognese

Buon giorno a tutt*
nella videoconferenza di ieri è emerso questo importante argomento che, a mio avviso, viene largamente trascurato anche da parte dell'ambiente scolastico.
Da anni faccio parte di un gruppo dialettale di San Giorgio di Piano, composto anche da persone di San Pietro in Casale e Castello d'Argile, che mette in scena nel periodo estivo e autunnale una commedia partendo dalla Piazza di San Giorgio di Piano, gratuitamente, passando poi a San Pietro in Casale al Teatro Italia (qui viene fatto pagare un biglietto per poi devolvere il ricavato a varie ONLUS) per concludere a Castello d'Argile nel nuovo teatro e anche qui gratuitamente, purtroppo la pandemia non ci ha consentito di mantenere i tradizionali appuntamenti lo scorso anno e presumo che anche quest'anno sarà difficile riuscire a fare qualche cosa.
Per conto mio, su invito di una insegnante di una terza classe primaria di Bentivoglio, dovrei andare a leggere un brano di Italo Calvino in dialetto ma anche questa iniziativa è ampiamente a rischio; è vero anche che oggi le classi sono composte da ragazzi provenienti da altre zone dell'Italia oltre ai ragazzi comunitari ed extracomunitari che hanno ovviamente altre radici ma penso possa essere utile ugualmente perché dietro determinati termini dialettali si nascondono costumi, leggende ed atteggiamenti che fanno parte della storia del nostro territorio
a disposizione per eventuali iniziative


Bone giurnete a tott bi e brott
 

 

 

Una piccola e "vecchia" esperienza di dialetto nelle scuola: io sono una "minestra d'asilo" in pensione, bolognese ma...incapace di parlare il dialetto bene (anche se lo capisco !) . Spesso nel mio lavoro cantavo (stonando) delle canzoncine/filastrocche con i miei "alunni", in particolare ricordo una volta quando , tutti insieme, cantavamo una canzone dove ,dopo il ritornello, a turno i bambini dovevano dire...in bolognese... una cosa che amavano mangiare...Le risate erano garantite (sia per le scelte che per la pronuncia!!). Ricordo, in particolare, una bimba figlia di diplomatici (?credo?)americani che si trovava molto spaesata all'inizio della scuola e, nonostante sapesse parlare un po' l'italiano, restava sempre zitta...non c'era verso di sentire la sua voce. In una situazione molto giocosa quando mi sono rivolta a lei con questa canzoncina in dialetto, ha meravigliato tutti rispondendo "al zle" (il gelato..non so se si scrive così). Forse..... visto che tutti dicevano delle cose un po' strampalate....non si è sentita in imbarazzo se sbagliava!!! Sta di fatto che dopo allora ha incominciato ad avere più fiducia ....e parlare con tutti!

La prima volta che ho parlato in dialetto in pubblico è stato a circa 8 anni in parrocchia, Organizzarono uno spettacolino teatrale e io cantai l'Andrecca. Credo che sarbbe educativo organizzare spettacoli multiculturali per i bambini in cui più lingue possano esibirsi o fiabe e racconti provenienti da diversi Paesi possano essere ascoltate dalla voce degli stessi ragazzi o dei loro genitori

Dialetto

da Mariella

Quando, a sette anni tornai, a Bologna  parlavo solo in dialetto veneto, incomprensibile per tutti  e non fu facile per me imparare la lingua italiana. Del bolognese ne appresi una sola espressione, l'unica che non avrei mai dovuto  imparare : 'So**ia  l'o*o!' non so come si scriva. La dissi in casa come segno di meraviglia e fui subito redarguita. Ugualmente quando la ripetei  e poi scattò  l'avvertimento di mia madre che mai mi aveva dato una sculacciata: “ Se la ripeterai ancora non la finirai di dire perché, prima,  ti arriverà uno schiaffo sulla bocca.” E fu così.
Da quel giorno non ho mai più pronunciato  quella espressione e nessuna altra  parolaccia.  Non è stato un trauma e il detto 'Quando ci vuole, ci vuole' non l'ho mai preso in considerazione.
 

Nata a Bologna. I primi anni vissuti in campagna e il dialetto si parlava come lingua principale, l'italiano l'ho imparato a scuola ma in casa si parlava solo dialetto. Sono le mie radici, la mia storia.
E' la nostra cultura, la lingua dei nostri nonni e dei nostri padri/madri. E' la nostra identità.
Le nostre origini, la storia della nostra famiglia, sono come le radici di un albero: sono fondamentali, ci sostengono e danno nutrimento alla nostra identità. 
Per questo motivo, a mio parere, è importante conoscerle e tramandarle.
VA MO LA'!

Taxi a Bologna

I BOLOGNESI E LE UNITÀ DI MISURA. Riporto un divertente post del 19/6/2020 di Alastor Maverick   https://www.facebook.com/profile.php?id=100006048197341

"Il bolognese non ama le unità di misura precise. Probabilmente perché, molto prima di Einstein, aveva intuito che tutto al mondo è relativo e per comprendersi più che i numeri servono intelligenza e buon senso.
Così, girando per i mercati, non sentiremo mai dire un etto e venti, o un chilo e cento ma un etto e sblisga, un chilo e sblisga. Lo sblisga infatti è un’unità di misura indefinita eppure precisissima. E’ quel poco di più (o di meno) su cui nessuno obietterà mai nulla.
Se però quel poco di più è un po’ più dello sblisga ecco allora che si trasforma in un po’ dimondi . Se poi è ancora di più si arriva direttamente a dimondi e cioè molto (ma non necessariamente troppo). Dopo dimondi passando per il poco usato dimondi dimondi (che non è necessariamente il doppio) si arriva allo sbanderno. Quanto misura uno sbanderno? Inutile cercare di saperlo ma se a Bologna qualcuno dice sbanderno sia che si parli di mele, di persone o di soldi tutti capiscono che è una cosa grossa.
Ma se si vuole descrivere qualcosa di esagerato che superi il concetto di sbanderno, quando si arriva al massimo oltre al quale non si può andare ecco che anche i bolognesi si piegano alla forza dei numeri. O meglio di un numero. A Bologna infatti il massimo dei massimi si dice semplicemente “del 32”. E del 32 va bene per tutto: un caldo del 32, un freddo del 32, un casino del 32, una puzza del 32, ecc. ecc.
Ciò che è stupefacente è che ho fatto una ricerca approfondita e nell’anno 32 di ogni secolo passato l’unica cosa straordinaria che è accaduta è stata una spolverata di neve nell’agosto del 1632. Insomma nessuna catastrofe, nessun evento che giustifichi tale modo di dire. Eppure quando un qualcosa è del 32 si può essere sicuri che non vi è nulla di più grande. Il perché resterà uno dei tanti misteri di questa strana città.
Naturalmente esistono molte altre unità di misura che vengono usate in ambiti specifici perché è bene ricordarlo: i bolognesi sono sì indefiniti ma oltremodo precisi. E così ecco il fracco (principalmente per le botte ma non solo), lo sbrozzo (usato più in generale) e la mòcia (per cose e persone).
Ma per far capire quanto tengano alla precisione i bolognesi ecco che si hanno unità di misura anche per un evento naturale come la pioggia. Se è molto intensa viene chiamata batedo o battello, se di breve durata e non particolarmente intensa invece squasso (e nel caso di una semplice spruzzata squassadino)."

Unità di misura

In Veneto si sono trasferiti i miei figli per lavoro e in Veneto vado almeno una volta la mese: a Vicenza o a Padova o a Chioggia. I Veneti parlano dialetto fra loro, anche le commesse nei negozi. Mio genero mi presenta come sua suocera quando andiamo a fare la spesa nel paesino in cui vivono (Albignasego) e mi racconta che dopo gli dicono: " ma non parla come noi?". Quando dicono Bologna aprono la pronuncia della seconda o (come la o di Modena), ho un bel da dire che Bologna si pronuncia con le stesse due o chiuse, non ci riescono!

Un significato tira l'altro: chissà perchè si diceva (in dialetto, ma non lo so trascrivere): "Non sono mica nato la notte dello squassadino!" per mettere in chiaro che non si era un sempliciotto, che non si beveva una fandonia? Forse lo stesso significato di "essere venuto giù con la piena"... presa in giro bonaria dei montanari da parte dei furbi ed evoluti cittadini.